di Eduardo De Filippo

con
Luca De Filippo
Gigi Savoia
Antonella Morea
Marco Manchisi
Carolina Rosi

personaggi e interpreti
Rosa Cimmaruta Antonella Morea
Maria, cameriera Anna Moriello
Michele, portiere Matteo Salsano
Alberto Saporito Luca De Filippo
Carlo, suo fratello Marco Menchisi
Pasquale Cimmaruta Gigi Savoia
Matilde, sua moglie Carolina Rosi
Luigi, loro figlio Matteo Mauriello
Elvira, loro figlia Chiara De Crescenzo
Un brigadiere Giovanni Allocca
Zi’ Nicola Saporito Giuseppe Rispoli
Capa d’Angelo Adriano Mottola
Teresa Amitrano Stefania Guida
Aniello Amitrano Giuseppe Rispoli

regia Francesco Rosi
scene Enrico Job
costumi Enrico Job e Cristiana Lafayette
luci Stefano Stacchini

aiuto regia Carolina Rosi, assistente scenografo Chiara Guberti
assistente costumista Chiara Sallustio
consulente scenotecnico Ciro Rubinacci
direttore di scena Ivan De Paola, capo macchinista Francesco Scognamiglio
tecnico luci Danilo Cencelli, sarta Chiara Sallustio
suono Corrado Cristina scenografia Opera Scene Europa
costumi Sartoria Farani, calzature Pompei, parrucche Rocchetti&Rocchetti
materiale elettrico Ifet, materiale fonico Mordente Music Service
trasporti Multi Service Futura
grafica Arké, progetto web Angelo Cannatà
ufficio stampa Beatrice Fabretti, segreteria di produzione Deborah Frate
amministrazione e produzione Alessandro Mattias
organizzazione Ornella Vannetti

di Eduardo De Filippo

con
Luca De Filippo
Gigi Savoia
Antonella Morea
Marco Manchisi
Carolina Rosi

personaggi e interpreti
Rosa Cimmaruta Antonella Morea
Maria, cameriera Anna Moriello
Michele, portiere Matteo Salsano
Alberto Saporito Luca De Filippo
Carlo, suo fratello Marco Menchisi
Pasquale Cimmaruta Gigi Savoia
Matilde, sua moglie Carolina Rosi
Luigi, loro figlio Matteo Mauriello
Elvira, loro figlia Chiara De Crescenzo
Un brigadiere Giovanni Allocca
Zi’ Nicola Saporito Giuseppe Rispoli
Capa d’Angelo Adriano Mottola
Teresa Amitrano Stefania Guida
Aniello Amitrano Giuseppe Rispoli

regia Francesco Rosi
scene Enrico Job
costumi Enrico Job e Cristiana Lafayette
luci Stefano Stacchini

aiuto regia Carolina Rosi, assistente scenografo Chiara Guberti
assistente costumista Chiara Sallustio
consulente scenotecnico Ciro Rubinacci
direttore di scena Ivan De Paola, capo macchinista Francesco Scognamiglio
tecnico luci Danilo Cencelli, sarta Chiara Sallustio
suono Corrado Cristina scenografia Opera Scene Europa
costumi Sartoria Farani, calzature Pompei, parrucche Rocchetti&Rocchetti
materiale elettrico Ifet, materiale fonico Mordente Music Service
trasporti Multi Service Futura
grafica Arké, progetto web Angelo Cannatà
ufficio stampa Beatrice Fabretti, segreteria di produzione Deborah Frate
amministrazione e produzione Alessandro Mattias
organizzazione Ornella Vannetti

Date Tournée

dal 20 ottobre al 19 novembre 2006 ROMA Teatro Argentina
dal 21 novembre al 17 dicembre NAPOLI Teatro Bellini
18 e 19 dicembre AVELLINO Teatro Gesualdo
dal 20 al 23 dicembre CASERTA Teatro Comunale

dal 2 al 5 gennaio 2007 CHIETI Teatro Marrucino
6 e 7 gennaio CAMPOBASSO Teatro Savoia
8 e 9 gennaio CIVITAVECCHIA Teatro Traiano
10 e 11 gennaio LIVORNO Teatro Goldoni
dal 12 al 14 gennaio PISA Teatro Verdi
16 e 17 gennaio COLLE VAL D’ELSA Teatro del Popolo
dal 18 al 21 gennaio LUGO Teatro Rossini
dal 23 al 28 gennaio SALERNO Teatro Verdi
29 e 30 gennaio LATINA Teatro Comunale
dal 2 al 4 febbraio PISTOIA Teatro Manzoni
dal 7 all’11 febbraio FORLÌ Teatro Diego Fabbri
12 e 13 febbraio RECANATI Teatro Persiani
dal 16 al 18 febbraio TREVISO Teatro Comunale
dal 20 al 22 febbraio PAVIA Teatro Fraschini
dal 23 febbraio al 4 marzo BERGAMO Teatro Donizetti
dal 6 all’11 marzo TORINO Teatro Alfieri
dal 13 al 18 marzo VERONA Teatro Nuovo
dal 20 marzo al 5 aprile MILANO Teatro Strehler
dall’11 al 22 aprile PALERMO Teatro Biondo
23 e 24 aprile CALTANISSETTA Teatro Regina Margherita
dal 2 al 20 maggio CATANIA Teatro Verga

Con la messa in scena di Le voci di dentro dopo Napoli Milionaria! desidero proseguire, insieme a Francesco Rosi, il discorso teatrale sulla drammaturgia di Eduardo.
Le due commedie, scritte a pochi anni di distanza (Napoli Milionaria! nel 1945 e Le voci di dentro nel 1948), segnano infatti il momento di passaggio da un Eduardo in cui è ancora viva la speranza nei grandi cambiamenti e nel recupero dei valori fondamentali, dopo il terribile dramma della guerra, ad un Eduardo in cui la disillusione ed il pessimismo prevalgono in misura crescente.
È il momento in cui Eduardo passa dalla riflessione sulla società all’approfondimento dei rapporti all’interno della famiglia sempre più espressione di ipocrisia, tornaconto personale, cinismo e sempre meno di quei grandi ideali quali la fraternità, la solidarietà, la pietà, che avrebbero dovuto segnare il rinnovamento sociale ed individuale.
Le voci di dentro, nel filone del fantastico eduardiano con l’ambiguo rapporto sogno-realtà, esprime profondamente gli umori del tempo, di un Paese scosso nel suo sistema di valori e poco fiducioso in una autentica rinascita, come se gli orrori della guerra, ancorché finita, avessero contaminato la coscienza delle persone, come se una sottile corruzione morale fosse penetrata in profondità, pur coperta da un’apparente moralità, riportando a quella connivenza e alle responsabilità individuali e collettive che avevano rese possibili le tragedie ancora così vicine.
Il titolo è emblematico e come tale è entrato nel linguaggio quotidiano: le voci di dentro non corrispondono più alle voci di fuori, e a forza di reticenze, sospetti reciproci e ipocrisie si può arrivare a estremi impensabili, alla negazione della comunicazione e della stima reciproca, rivelando zone insospettabili di una umanità come sperduta.

Luca De Filippo

Una sera dell’anno scorso, in attesa dell’inizio di uno spettacolo al Teatro Quirino, il critico Aggeo Savioli, che aveva apprezzato la mia regia di Napoli Milionaria!, mi si rivolge per chiedermi: <<Ma perché non metti in scena Le voci di dentro?>>. Io ero seduto dietro a lui assieme a Luca De Filippo e a mia figlia Carolina. Gli risposi, più che sorpreso, sbalordito, come per un segno di premonizione magica: <<Ma è proprio quello che abbiamo deciso di fare con Luca per la prossima stagione.>> Lo spettacolo lo faremo e spero che ad Aggeo Savioli Piacerà.
Questa commedia, scritta e rappresentata per la prima volta nel 1948, chiude il ciclo delle opere dell’immediato dopoguerra. Eduardo stesso la collocava a chiusura di un discorso unico e coerente, aperto da Napoli Milionaria! e continuato con Filumena Marturano, Questi fantasmi! e Le bugie con le gambe lunghe.

<<Secondo me – dice Eduardo a Vito Pandolfi in un’intervista del 1956 – non si è entrati nello spirito, si sono fermati al fatto della commedia. È sfuggito quello che era il mio proposito. I tre figli di Filumena Marturano rappresentano le tre forze dell’Italia: l’operaio, il commerciante, lo scrittore… I figli sono quelli che si tengono nelle braccia quando sono piccoli… Ma quando sono grandi, quando sono diventati uomini, o sono figli tutti quanti o sono nemici…
Pensavo con quella commedia di aver messo in evidenza questa situazione ai governanti, pensavo che avrebbero preso dei provvedimenti. Poi scrissi Questi fantasmi!, poi Le bugie con le gambe lunghe, ma le cose rimasero stazionarie e allora ho scritto Le voci di dentro, dove il personaggio non parla più perché è inutile parlare quando nessuno ascolta.>>

La commedia ebbe molto successo, la gente, anche se spiazzata da tanta anticipazione, riuscì a cogliere il lato amaro di quello che Eduardo aveva voluto dire: la famiglia come luogo di gelosia, di rancori, di odi nascosti. “Il sogno è la spia di una grande inquietudine che ci attanaglia. I personaggi di questa commedia portano in sé l’ansia di una guerra appena finita, di violenze non dimenticate” (Intervista a Giulio Baffi – L’Unità – 10 gennaio 1977).

Noi oggi possiamo continuare con l’elenco desunto da una cronaca quotidiana sempre più tormentata da violenze insopportabili: madri che uccidono figli, figli che uccidono padri, familiari che si ammazzano tra di loro, pedofilia sempre più diffusa negli ambienti creati per la protezione dell’innocenza, famiglie sconvolte dall’odio, dai sospetti più atroci, da crimini commessi in nome degli interessi più sordidi.
Il valore di profezia della commedia di Eduardo, definita dall’autore una “tarantella in tre atti”, la sua attualità, sono sconcertanti. Alberto Saporito ha un incubo, forse una visione, che definirà un “sogno”: il delitto commesso da una famiglia di tranquilli borghesi, e non esita a denunciarli, tanto ci crede.
Gli accusati, invece di proclamare ad alta voce tutti insieme la loro estraneità al delitto, sospettano che sia stato commesso da uno di loro e si accusano l’un l’altro, arrivando a progettare un delitto vero per coprirne uno solo immaginato.Situazione paradossale, commedia difficile proprio per questo suo muoversi tra realismo e surrealismo.
Scrisse Cesare Garboli (Corriere della Sera – 21 gennaio 1977): “Seppe tradire il realismo beffandolo col paradosso, inquietandolo con una pericolosa emulsione di teatro magico e esterrefatto, dove il non senso e gli spettri sono di casa né più né meno del maccherone riscaldato o del ferro da stiro. Sempre partendo dal quotidiano, Eduardo liberava una sostanza popolare nascosta, preziosa e immateriale. E lo spirito di Napoli si lasciava sfuggire un anello bluastro, una spirale di fumo inatteso.”
Si parlò del realismo metafisico di Eduardo.
Salvatore Quasimodo (Il Dramma – 1948): “L’ironico, il tragico, il grottesco hanno cadenza di alto ritmo. Ho sognato – grida Alberto – ma ormai il sospetto è entrato in casa Cimmaruta: l’uno viene accusato dall’altro, la crudeltà, la vigliaccheria si rivelano a ogni parola. Aniello, il presunto assassinato, è vivo, ritorna. Non importa: le voci di dentro ormai sono scoperte.”

Francesco Rosi

Dall’alto del suo abitacolo, come un antico stilita, un decrepito filosofo pessimista, disgustato dell’umanità, non parla più e sputa su chi gli capita a tiro.
A volte dice qualcosa, ma solo se strettamente necessario, e con uno spettacolare alfabeto di sua invenzione, fatto di botti e castagnole.
Proprio da quando ha smesso di lavorare però, la “ditta organizzatrice di feste” di questo vecchio ex apparatore ha cominciato ad andar male, tanto da far pensare ai suoi due nipoti, cui ha lasciato in eredità quel lavoro, che a Napoli si sia smesso di fare feste. Saranno stati i disastri che la guerra ha provocato anche nel cuore della gente, ma già da diversi anni più nessuno viene a chiedere di noleggiare sedie, paramenti o fuochi d’artificio, e tantomeno Santi o Madonne da portare in processione. Si è persa la voglia di celebrare i momenti importanti della vita. Così per questa o per chissà quale altra ragione, sono passati gli anni senza che nessuno più sia venuto a chiedere d’organizzare qualcosa. E, dopo tanto tempo, a forza di rimanere lì inutilizzati, gli oggetti hanno perso consistenza, divenendo fragili come i tessuti dei paramenti che gli anni vanno stramando, e come molte altre cose del magazzino, ormai sul punto di sparire del tutto e divenire fantasmi.
E così i due nipoti del filosofo pazzo che, né più né meno degli oggetti, hanno preso a nutrire anche loro, nel segreto del cuore, una sorta d’ossessione autodistruttiva.
Un’ossessione simile a quella di Caravaggio, da me molto citato come sincretico reperto fotografico, nell’insistito bianco e nero della scena, dove l’unico vero colore, come per Caravaggio appunto, è l’incubo del sangue e dell’assassinio.
Questo rosso, questa sinistra oniricità, questa perdita di consistenza, questo confondere il sogno con la realtà, a lungo andare da forma a voci che vengono dall’anima con la materia di cui sono fatti i sogni.
Con evidenze corpose e reali che la luce trasmuta nell’incerto apparire di trasparenze e consunzioni, ho cercato di realizzare questa difficile materia. Particolarmente nella scena del secondo e terzo atto, nel quale finalmente apparirà il vero, vergognoso animo dei vicini di casa.

Enrico Job