di Samuel Beckett
tradizione di Carlo Fruttero
con Luca De Filippo, Gianfelice Imparato, Mario Scarpetta
regia Luca De Filippo
scene e costumi Enrico Job

personaggi e interpreti (in ordine di apparizione)
Estragone Gianfelice Imparato
Vladimiro Mario Scarpetta
Lucky Giuseppe Rispoli
Pozzo Luca De Filippo
Ragazzo Ivan Polidoro

disegno luci Stefano Stacchini
aiuto regista Carolina Rosi
direttore di scena Ivan De Paola
capo macchinista Ciro Rubinacci
capo elettricista Stefano Stacchini
capo sarta Chiara Sallustio
segretaria di compagnia Teresa Rizzo
scene Opera Scene Europa
costumi G.P. 11
parrucche Rocchetti & Rocchetti
calzature Pompei
attrezzeria Rancati
materiale elettrico IFET
trasporti Egidio Porcacchia
foto Studio Le Pera
sito internet Angelo Cannatà
amministrazione Deborah Frate
consulente di produzione Alessandro Mattias
direzione di produzione Angela Dal Piaz
la musica della canzone “Un cane andò in cucina” cantata da Mario Scarpetta è di Nicola Piovani

di Samuel Beckett
tradizione di Carlo Fruttero
con Luca De Filippo, Gianfelice Imparato, Mario Scarpetta
regia Luca De Filippo
scene e costumi Enrico Job

personaggi e interpreti (in ordine di apparizione)
Estragone Gianfelice Imparato
Vladimiro Mario Scarpetta
Lucky Giuseppe Rispoli
Pozzo Luca De Filippo
Ragazzo Ivan Polidoro

disegno luci Stefano Stacchini
aiuto regista Carolina Rosi
direttore di scena Ivan De Paola
capo macchinista Ciro Rubinacci
capo elettricista Stefano Stacchini
capo sarta Chiara Sallustio
segretaria di compagnia Teresa Rizzo
scene Opera Scene Europa
costumi G.P. 11
parrucche Rocchetti & Rocchetti
calzature Pompei
attrezzeria Rancati
materiale elettrico IFET
trasporti Egidio Porcacchia
foto Studio Le Pera
sito internet Angelo Cannatà
amministrazione Deborah Frate
consulente di produzione Alessandro Mattias
direzione di produzione Angela Dal Piaz
la musica della canzone “Un cane andò in cucina” cantata da Mario Scarpetta è di Nicola Piovani

Date Tournée

2002

dall’8 al 10 febbraio MASSA Teatro Guglielmi
11 febbraio PONTEDERA Teatro Roma
13 febbraio PIOMBINO Teatro Metropolitan
14 febbraio CIVITAVECCHIA Teatro Comunale
15 febbraio SULMONA Teatro Comunale
16 e 17 febbraio CHIETI Teatro Marrucino
19 e 20 febbraio TERAMO Teatro Comunale
21 febbraio PORTO SAN GIORGIO Teatro Comunale
22 febbraio GUBBIO Teatro Comunale
23 febbraio CITTÀ DI CASTELLO Teatro Illuminati
24 febbraio TODI Teatro Comunale
26 febbraio AVELLINO Teatro Partenio
27 e 28 febbraio TORRE DEL GRECO Teatro Corallo
1 marzo SORRENTO Teatro Armida
2 marzo VASTO Teatro Globo
3 marzo LANCIANO Teatro Fenaroli
dal 5 al 17 marzo MILANO Teatro Franco Parenti
18 e 19 marzo VIAREGGIO Teatro Politeama
20 e 21 marzo LIVORNO Teatro La Gran Guardia
dal 22 al 24 marzo PISA Teatro Verdi
dal 4 al 7 aprile SALERNO Teatro Verdi
8 aprile NOLA Teatro Umberto
dal 10 al 21 aprile NAPOLI Teatro Mercadante
dal 26 al 28 aprile POTENZA Teatro Francesco Stabile
29 aprile MATERA Teatro Duni
30 aprile VENOSA Teatro Lovaglio
2 e 3 maggio CROTONE Teatro Apollo
4 e 5 maggio REGGIO CALABRIA Teatro Cilea
6 maggio CORIGLIANO Teatro Metropolitan

Dopo Cerami, Coline Serrau e Pinter, una nuova tappa del percorso di Luca De Filippo nella drammaturgia del ‘900. Un classico del teatro dell’assurdo filtrato attraverso la comicità surreale e stralunata della grande tradizione napoletana.
Non a caso Luca ha scelto di intraprendere questa avventura con Gianfelice Imparato e Mario Scarpetta che condividono con lui questo umorismo lunare ed ironico, contaminato dalla clownerie, dal varietà, dal circo, questo teatro che usa forme popolari per un discorso divertente e allo stesso tempo “alto”.
“Aspettando Godot è una commedia, e una riuscitissima commedia, per giunta.
Sul piano del divertimento si tratta di un vero gioiello, magistralmente congegnato, che sfrutta a fondo tutte le risorse e le combinazioni di questo “genere” teatrale, dal qui pro quo al doppio senso, dal gag farsesco alla parolaccia di gergo, una commedia esemplare, limite, costruita interamente attorno all’assenza del personaggio.
Per intendere la linea strutturale di Godot occorre immaginare per esempio un Edipo in cui Edipo, annunciato, atteso, invocato, non arrivi mai. I fatti sono questi: due mendicanti, Vladimiro ed Estragone, aspettano in aperta campagna un certo Godot, dal quale sperano ottenere una vaga sistemazione. I due non solo non hanno mai visto Godot, ma non sono sicuri né del luogo né del giorno dell’appuntamento. Dopo una lunga attesa arriva Pozzo, che porta al guinzaglio il suo servitore Lucky. Pozzo s’intrattiene per qualche tempo coi due mendicanti e riparte. L’attesa continua fino all’arrivo di un ragazzo con un messaggio di Godot: Godot non verrà più stasera, ma certamente domani.
Si è parlato a proposito di Godot di Chaplin: non solo per certe coincidenze esteriori che colpiscono (le bombette di Vladimiro ed Estragone, le scarpacce vecchie, le pantomime, le mossette ecc.), ma soprattutto per quella che si potrebbe definire un’affinità di metodo: Charlot è sempre sfasato rispetto alla realtà che lo circonda. Il traguardo di Beckett è, a differenza di Chaplin, metafisico, ma l’urto comico è lo stesso.
Va da sé che un procedimento del genere farebbe di Aspettando Godot una semplice farsa se Vladimiro ed Estragone non avessero personalità e umanità da vendere. Il loro candore, le loro incongruenze, l’evidente inutilità della loro attesa, il loro aplomb perfetto, cui segue un panico ingiustificato o un febbrile entusiasmo, il curioso rapporto, da vecchie zitelle, che li lega, misto di affetto, di insofferenza, di abitudine, le loro smanie e i loro rimpianti, tutto concorre a renderceli non solo vivi e simpatici, ma comprensibili di primo acchito. Sicché anche lo spettatore più guardingo non ha difficoltà ad accettarli. Ciò che ha permesso a Beckett di raggiungere un pubblico più vasto è che “Aspettando Godot” fa spesso ridere. Non ridere verde, e nemmeno ridere per mostrare che si è capito, ma ridere di cuore, conquistati, liberamente.”

(Brani tratti dalla prefazione di Carlo Fruttero alla sua traduzione di Aspettando Godot – Edizione Einaudi)

Note di regia
Note di regia

IL GRAN GIOCO DEL TEATRO DI SAMUEL BECKETT

intervista a Luca De Filippo di Giulio Baffi

 

Una carriera teatrale iniziata misurandosi con la grande tradizione di famiglia, poi una inesauribile curiosità che l’ha portata ad incontrare momenti molto diversi tra loro della drammaturgia moderna, ora un incontro con il teatro di Samuel Beckett, con quel tanto celebrato Aspettando Godot, con i suoi personaggi enigmatici, con le sue atmosfere rarefatte
“Aspettando Godot ha personaggi molto affascinanti, è un testo bellissimo, eppure è una delle piéces di teatro più difficili che ho affrontato. Perché Beckett lavora su piccolissimi particolari, e questo testo esige un lungo lavoro di preparazione e di approfondimento. Su ogni parola, su ogni indicazione. Ho cercato così di comprendere i passaggi mentali dei personaggi per dare un senso ad un’architettura teatrale costruita in modo da sembrare priva di un senso logico, dove i personaggi, nel loro continuo, estenuante ed estenuato cercarsi, sembrano pensare cose diametralmente opposte e non consequenziali. A volte infatti, a proposito di questo testo, si parla di teatro del non senso, ma perché esso sia profondamente tale, ritengo che l’apparenza debba essere fortemente razionale. Solo accostando gli estremi infatti credo si possa ottenere appieno l’effetto di spiazzamento necessario”.

Cosa le ha suggerito la lettura di Aspettando Godot?
“Quando ho letto Aspettando Godot ho provato una sensazione di grande angoscia. Come per una favola, e le favole mi hanno sempre angosciato. Perché quello di Vladimiro ed Estragone, ma anche di Pozzo e Lucky, è un viaggio senza uscita. Ecco, leggendo Aspettando Godot ti sembra di essere entrato in qualcosa da cui non sai più uscire”.

 Una favola o un incubo?
“Una favola complessa, come una vita da cui fuggire o da provare a colorare con i propri sogni, in cui creare le proiezioni di se stessi. E così Pozzo farà parte dell’incubo, Lucky è parte del sogno, o forse saranno essi stessi creature della loro mente”.

Come ha fatto a dare concretezza a queste sue sensazioni?
“Lavorando con gli attori ma prima ancora lavorando con lo scenografo Enrico Job. Abbiamo pensato di creare uno spazio che suggerisce un gioco, il gioco di una mente ingenua, un foglio bianco su cui disegnare il proprio spazio, dove rappresentare i propri sogni, le proprie angosce, le proprie paure. Un foglio bianco, come quello di un quaderno, con i quadretti da riempire. Sembra il luogo per un gioco di bambini, ma magari suggerisce anche l’atmosfera di un ospedale asettico e gelido, o addirittura una camera mortuaria. Perché in Aspettando Godot ci sono davvero tutte le nostre paure e le nostre attese”.

 Perché è importante questa sensazione di attesa che segna tutto lo svolgersi dell’azione teatrale?
“Perché l’attesa è una cosa che riguarda tutti e l’attesa più grande è quella della morte. C’è chi ha detto che l’attesa di Godot è l’attesa di Dio, ma a pensarci bene Dio è la morte, o è un qualcosa che l’uomo pretende perché esiste la morte. L’uomo giustifica la morte con la presenza di Dio. Quindi ho pensato che i due personaggi aspettano di morire e trascorrono il loro tempo in quest’attesa. Una continua attesa, ma assolutamente finta all’interno di un luogo da loro stessi costruito. E’ il loro spazio da cui cercano ogni tanto di uscire. Ma fuori vengono presi a mazzate e devono così ritornare precipitosamente nel loro spazio”.

Un piccolo universo che sembra piuttosto un rifugio senza confini
“Vladimiro ed Estragone vivono in un loro universo autosufficiente. In questo spazio vivono anche il loro continuo cercarsi e rifiutarsi. Come una vecchia coppia consumata, dalla dinamica cosciente e precisa che richiede loro la costruzione o l’invenzione di una nuova coppia, evocata e creata a loro contrapposizione. Così compaiono Pozzo e Lucky, che potrebbero anche essere due personaggi simili a Vladimiro ed Estragone, nel loro continuo e disperato vagare. Ed è l’arrivo di questi che costringerà Vladimiro ed Estragone a coalizzarsi, in un momento di grande armonia per potersi contrapporre alla novità che li invade, agli intrusi, agli orchi della loro favola, agli estranei che hanno un modo tanto diverso di attendere.”

 Quale è stata dunque la sua scelta di regista nel costruire questa messa in scena?
“Ho voluto costruire un Aspettando Godot come se dovessi raccontarlo a mio figlio, rendendolo semplice appunto come una favola. Non credo che ne venga meno l’angoscia, non credo che diventi uno spettacolo semplice, non credo che questa normalità faccia perdere la sua cifra disperata o ne sminuisca la costruzione geniale di Beckett in questo suo girare intorno senza giungere a nulla. Questa scelta credo possa creare un po’ di difficoltà per il pubblico che deve conoscere il testo su cui ho lavorato. Di questo testo non sottolineo i momenti “emblematici” lasciando spazio per l’immaginazione. Eppure ho seguito con attenzione le didascalie, che sono molte e precisissime. Beckett ci dà una serie d’indicazioni preziose che creano un percorso attraverso cui gli attori possono muoversi e inventare il loro gioco pudico”.

Ha dato molta importanza alla parte giocosa dello spettacolo?
“Molto, Beckett chiede che tutto sia un gioco, in quanto anche il gioco è fine a se stesso e sono evidenti i suoi riferimenti al cinema storico e prezioso delle comiche, quello dei fratelli Marx, di Buster Keaton, di Stanlio e Onlio, una comicità naturale che funziona perfettamente anche in teatro ed anche oggi. Ho analizzato il suo teatro ed ho fatto delle scelte, ma forse invece di parlare di comicità sarebbe più corretto parlare di grande ironia e spiazzante umorismo”.

Insomma, cosa vorrebbe che fosse il suo spettacolo?
“Un gran gioco che vorrei sembrasse sensato, logico, preciso, ma che alla fine lasciasse lo spettatore con l’impressione di non aver afferrato qualcosa d’importante. E’ questo credo il gran gioco del teatro di Beckett e della sua rappresentazione del gran nulla”.